Si intensificano i tentativi di esclusione degli ebrei da tutto il Reich: dei 520.000 ebrei presenti in Germania, circa 250.000 riuscirono ad emigrare tra cui scienziati, professori universitari, scrittori, artisti musicisti e leader politici, ma la restante parte non riuscì a procurarsi il visto d’ingresso in alcun paese. Chi rimase, non percepì la gravità della situazione e scelse il tradizionale atteggiamento ebraico di fronte ai soprusi e alle angherie: aspettare che passassero.
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Il Nazismo e la persecuzione antisemita in GermaniaAdolf Hitler è stato fondatore e Fuhrer del Nazionalsocialismo e cancelliere del III Reich. Già dopo il fallito colpo di stato a Monaco nel 1923, Hitler, condannato a 5 anni di carcere nella fortezza di Lansberg, aveva dettato al fido compagno Hess il "Mein Kampf", libro in cui teorizzava i principi nazionalsocialisti e in cui erano indicati quei principi cardini che poco dopo avrebbero trovato drammatica attuazione. In questo libro Hitler, reduce di guerra, attribuiva la sconfitta delle Germania nella guerra al tradimento degli Ebrei e comunisti, da lui considerati i veri nemici del popolo tedesco. Nel 1933 Hitler assunse la guida del governo tedesco. Il nazismo rispondeva come “sfogo” al crollo del mondo economico e alla Grande Depressione che si erano abbattuti gravemente sulla Germania. Hitler voleva costituire un Impero Germanico, attraverso un regime autoritario e il nazionalsocialismo. Trovava un popolo tedesco facilmente influenzabile a causa della depressione economica e ottenne l’appoggio della grande industria e dell’alta finanza. Appena salito al potere nel 1933 attuò una politica antisemita che si articolava in tre fasi principali: - PRIMA FASE della politica antisemita (1933-1935): comportamenti violenti sugli ebrei, boicottaggi ai negozi e studi professionali, espulsione sociale, limitazione all’accesso nelle scuole e nelle università, messa al rogo di tutte le opere letterarie di autori ebrei. - SECONDA FASE della politica antisemita(1935-1938): discriminazione legislativa e separazione degli ebrei dal resto della popolazione. In occasione del Congresso del partito a Norimberga (1935), vennero promulgate due Leggi, di cui una sulla cittadinanza e l’altra sulla protezione della razza, in base alle quali gli ebrei vennero separati legalmente dai loro concittadini: era definito ebreo chi aveva almeno 3 nonni ebrei. Inoltre, venivano vietati i rapporti sessuali tra ebrei e ariani; la possibilità di entrare negli uffici pubblici, ospedali o frequentare altri luoghi pubblici; di esporre la bandiera nazione e di citare i caduti ebrei sui monumenti dedicati ai soldati morti in guerra. - TERZA FASE della politica antisemita (1938-1940): persecuzioni e le nuove violenze sugli ebrei, a partire dalla notte dei cristalli (9-10 novembre 1938), gigantesco pogrom scatenato per vendicare l’uccisione a Parigi di un diplomatico tedesco ad opera di un giovane ebreo. Furono uccisi 91 ebrei e ne furono imprigionati 26.000; più di 200 sinagoghe, centri comunitari e cimiteri vennero distrutti, incendiati o profanati. |
LE TEORIE RAZZIALI
"’L’Ebreo è colui che avvelena tutto il mondo, se l’ebreo dovesse vincere allora sarà la fine di tutta l’umanità, allora questo pianeta sarà presto privo di vita come lo era milioni di anni fa" |
All’interno dell’opera “Mein Kampf”, pubblicata da Hitler nel 1925, Hitler sostenne che la storia è l’espressione dell’eterna lotta tra razze per la supremazia. In questa lotta il vincitore, cioè la razza più forte, ha il diritto di dominare. Quindi l’unico scopo dello Stato è di mantenere pura la razza e di creare le condizioni adatte per questa lotta di supremazia, ovvero per la guerra.
Tra le tante razze per Hitler soltanto a quella "Ariana" o "Nordica", spetta il diritto di dominare il mondo perché più creativa e valorosa. Gli ebrei dovevano essere sterminati perché venivano considerati non come una comunità religiosa ma come una razza, la quale rappresentava la rovina di tutte le altre. Essa infatti mescolandosi con gli altri popoli tentava di imbastardirli, distruggendo la loro purezza e la loro forza necessaria per la lotta per la supremazia. |
Le radici delle teorie razziali
ARTHUR DE GOBINEAU
Scrittore, diplomatico e filosofo francese ispiratore di tutte le teorie razziste europee del XIX secolo.
Deve la sua notorietà al "Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane", alla base del pensiero razzista. Egli all’interno del saggio dispone le razze in maniera gerarchica ed attribuisce ad esse determinate caratteristiche psicologiche innate, a cui fa riferimento per sostenere la tesi della "superiorità della razza bianca". La razza gialla è materialista, portata al commercio e incapace di esprimere pensieri metafisici. La razza nera presentava sensi sviluppati ed esprimeva una modesta capacità intellettiva. La razza bianca o ariana incarnava le virtù della nobiltà ,dei valori aristocratici e l’amore per la libertà. |
GEORGES VAUCHER DE LAPOUGEFrancese come Gobineau, Vacher de Lapouge sviluppa i suoi studi nel campo dell’antroposociologia, della quale può essere definito come il fondatore. Tale "scienza", fondata su dati scientifici e antropometrici, faceva riferimento essenzialmente al criterio dell’indice cefalico, che sta alla base della divisione in brachicefali (valori alti, crani larghi) e dolicocefali (valori bassi, crani allungati). Attraverso la presenza di questi, l’antroposociologia, cerca di stabilire le attitudini ed il valore di una razza.
La classificazione delle razze europee si articolava in 3 gruppi: a) HOMO EUROPAEUS. Alto, biondo, dolicocefalo dal volto allungato, vivente nelle isole britanniche e nell’Europa del nord-est. Dal punto di vista psicologico è un dominatore. In religione è protestante perché la sua indipendenza mal si adatterebbe all’autorità della Chiesa. b) HOMO ALPINUS. Piccolo, bruno, la testa e il viso rotondo, è il brachicefalo i cui esemplari più tipici sono gli abitanti dell’Auvergne e… i turchi. Predomina in Francia, in Italia e nei paesi balcanici. È un gran lavoratore ma è ben lungi dal voler primeggiare. Politicamente è "lo schiavo perfetto, il servo ideale… e nelle repubbliche moderne, il cittadino più gradito, perché sopporta ogni abuso". È cattolico e su di lui poggiano la civiltà greca e romana. c) HOMO MEDITERRANEUS. È bruno e dolicocefalo. Perfetti esponenti, i napoletani e gli andalusi. |
HOUSTON STEWART CHAMBERLAINAnche Houston Stewart Chamberlain (1855-1927) si dedicò all’analisi della civiltà, non perché preoccupato, come de Gobineau del suo declino, ma al contrario perché aspirava ad un futuro razziale migliore. Nella sua opera I fondamenti del XIX secolo, il razzismo non è solo una semplice spiegazione dell’ascesa/declino della civiltà, ma diventa la suprema speranza, la meta delle aspirazioni dell’umanità. Questa la sua teoria sulle differenze tra le razze:
I’ariano è caratterizzato da una forma fisica tipica dell’ideale germanico di bellezza, e l’ebreo ne è l’esatto opposto. Simbolicamente, ma in seguito anche in modo concreto, i due termini indicano Dio e i diavolo e per Chamberlain queste categorie sono fondamentali perché servono a spiegare il principio della eterna lotta fra le razze. Secondo questa visione lo sviluppo dell’umanità e soprattutto della Germania,è la storia di una implacabile lotta fra due contrari: dio, incarnato dalla razza germanica, il diavolo dalla giudaica. E queste sono ritenute le due razze pure nell’intervallo tra le quali c’è il “caos dei popoli”, una bastarda mescolanza di razze diverse. Le popolazioni germaniche avevano salvato quanto di meglio c’era nelle civiltà greche e romane, alle quali avevano aggiunto la loro vitalità ed energia: i germani sono stati così i salvatori del mondo e della sua storia, i portatori della cultura occidentale. Gli antagonisti dei germani sono gli ebrei, unica razza, accanto a quella germanica, che ha mantenuto la propria purezza. Il popolo giudaico, secondo Chamberlain, tentava ora di imporre il proprio dominio, mostrando una ferrea volontà di raggiungere il potere, tentando di realizzare i propri piani di supremazia sulle nazioni, supremazia promessa e garantita, sempre secondo C., dal loro dio Yahweh in cambio dell’obbedienza alle sue leggi. Questa era la minaccia giudaica: non uno scherzo, non un riferimento ad un personaggio popolare stereotipo, ma un nemico vero, da combattere con inesorabile decisione. Contro questa minaccia la razza germanica doveva impegnarsi in una lotta mortale da condursi con tutti i mezzi disponibili. La sconfitta del nemico razziale avrebbe automaticamente portato alla affermazione cosmica della razza ariana. Così Chamberlain proclamava che i tedeschi sarebbero a breve entrati in un “nuovo, splendido, luminosissimo” futuro, grazie alla presa di coscienza del valore della propria razza. |
Processo di Norimberga (1945-1946)
Alla fine della Seconda guerra mondiale U.S.A., Unione Sovietica e Gran Bretagna aprirono un processo contro i responsabili nazisti dell'Olocausto. Si formò un tribunale internazionale composto da otto giudici, due per ciascun paese alleato, che avrebbero dovuto condurre un processo contro i ventiquattro massimi esponenti dello stato nazista.
Come sede del processo fu scelta la città di Norimberga in quanto, a differenza di Berlino, il palazzo di giustizia e l'adiacente prigione erano rimasti integri dopo la guerra. Inoltre Norimberga aveva un valore simbolico per lo stato nazista in quanto Hitler vi svolgeva i propri congressi e, quindi, veniva considerata la capitale ideologica del nazismo.
Il processo ebbe inizio il 20 novembre 1945 e terminò il 1° ottobre dell'anno seguente.
Il numero degli accusati (ventiquattro) sale se si prendono in considerazione i due fuggitivi in Sudamerica, Eichmann e Mengele, e i tre suicidi dei massimi responsabili ed esponenti del partito nazista : Hitler, Himmler, capo delle SS, e Goebbles, capo della propaganda nazista.
Le accuse rivolte furono di cospirazione e di crimini contro la pace. Inoltre, di aver pianificato, iniziato e intrapreso guerre di aggressione, di aver commesso crimini di guerra e crimini contro l'umanità.
Il banco degli imputati del processo di Norimberga.
Come sede del processo fu scelta la città di Norimberga in quanto, a differenza di Berlino, il palazzo di giustizia e l'adiacente prigione erano rimasti integri dopo la guerra. Inoltre Norimberga aveva un valore simbolico per lo stato nazista in quanto Hitler vi svolgeva i propri congressi e, quindi, veniva considerata la capitale ideologica del nazismo.
Il processo ebbe inizio il 20 novembre 1945 e terminò il 1° ottobre dell'anno seguente.
Il numero degli accusati (ventiquattro) sale se si prendono in considerazione i due fuggitivi in Sudamerica, Eichmann e Mengele, e i tre suicidi dei massimi responsabili ed esponenti del partito nazista : Hitler, Himmler, capo delle SS, e Goebbles, capo della propaganda nazista.
Le accuse rivolte furono di cospirazione e di crimini contro la pace. Inoltre, di aver pianificato, iniziato e intrapreso guerre di aggressione, di aver commesso crimini di guerra e crimini contro l'umanità.
Il banco degli imputati del processo di Norimberga.
Deresponsabilizzazione e
difficile verità da accettare
Un aiuto importante al processo di Norimberga fu la collaborazione del pentito Erwin von Lahousen (uno dei capi dei servizi segreti di Hitler), grazie al quale vennero smontate molte delle tesi della difesa.
Quest'ultime si basavano sull'affermazione degli accusati che ritenevano di non essere colpevoli in quanto avrebbero solo eseguito degli ordini ai quali non potevano opporsi. Tra questi emerge il luogotenente di Hitler, Hermann Goring, il quale negò di fronte al tribunale il diritto di giudicare gli accusati poiché il processo era tenuto dai vincitori della guerra e quindi poteva risultare solo espressione di vendetta e non di giustizia. La tesi espressa da Goring viene portata avanti sino ad oggi dai neonazisti tedeschi.
Alla conclusione del processo le sentenza stabilite furono: dodici condanne a morte, tre ergastoli, quattro condanne dai dieci ai venti anni di carcere e tre assoluzioni. In seguito al processo di Norimberga si diffuse una presa di coscienza collettiva da parte dei tedeschi riguardo le crudeltà commesse che allo stesso tempo comportò la nascita del negazionismo, come tentativo di dimenticare e di scrollarsi di dosso ogni responsabilità per quanto accaduto. All'Olocausto contribuirono la maggior parte dei nazisti, che non provarono alcun senso di colpa per le loro azioni, per cui "la loro attività, ai loro occhi, non coincideva con l'idea tradizionale di delitto" come scrisse Arendt nel libro "Banalità del male". La riduzione delle persone da esseri umani a ingranaggi di una macchina superiore e inarrestabile, che in Germania raggiunse il suo culmine grazie alla sinergia di razzismo e antisemitismo, causarono un abbassamento della soglia morale e favorirono l'anonimato deresponsabilizzante. L'essere umano, infatti, per sua natura tende ad assumere comportamenti di massa e più tale massa si generalizza, più la sua idea diventa forte; risulta dunque sottile il confine tra un'idea razionale raggiunta in comune accordo e una irrazionale scaturita da una massa di persone.
Quest'ultime si basavano sull'affermazione degli accusati che ritenevano di non essere colpevoli in quanto avrebbero solo eseguito degli ordini ai quali non potevano opporsi. Tra questi emerge il luogotenente di Hitler, Hermann Goring, il quale negò di fronte al tribunale il diritto di giudicare gli accusati poiché il processo era tenuto dai vincitori della guerra e quindi poteva risultare solo espressione di vendetta e non di giustizia. La tesi espressa da Goring viene portata avanti sino ad oggi dai neonazisti tedeschi.
Alla conclusione del processo le sentenza stabilite furono: dodici condanne a morte, tre ergastoli, quattro condanne dai dieci ai venti anni di carcere e tre assoluzioni. In seguito al processo di Norimberga si diffuse una presa di coscienza collettiva da parte dei tedeschi riguardo le crudeltà commesse che allo stesso tempo comportò la nascita del negazionismo, come tentativo di dimenticare e di scrollarsi di dosso ogni responsabilità per quanto accaduto. All'Olocausto contribuirono la maggior parte dei nazisti, che non provarono alcun senso di colpa per le loro azioni, per cui "la loro attività, ai loro occhi, non coincideva con l'idea tradizionale di delitto" come scrisse Arendt nel libro "Banalità del male". La riduzione delle persone da esseri umani a ingranaggi di una macchina superiore e inarrestabile, che in Germania raggiunse il suo culmine grazie alla sinergia di razzismo e antisemitismo, causarono un abbassamento della soglia morale e favorirono l'anonimato deresponsabilizzante. L'essere umano, infatti, per sua natura tende ad assumere comportamenti di massa e più tale massa si generalizza, più la sua idea diventa forte; risulta dunque sottile il confine tra un'idea razionale raggiunta in comune accordo e una irrazionale scaturita da una massa di persone.